Il distintivo di Milano appiccato all’ex capitale morale da Vezio De Lucia ai tempi del sindaco Gabriele Albertini e del successore Letizia Brichetto Moratti significò gettar via l’urbanistica tradizionale della pianificazione comunale, vale a dire operare sulla base di un’idea complessiva di città dimostrando volta a volta l’ineluttabilità dell’intervento classificato primo nell’elenco delle priorità, ancorché provvisorio; e, al contrario, costruire nuove parti di città secondo intese private, talvolta segrete, fra il sindaco e il potente imprenditore proprietario di suoli e/o costruzioni da dismettere. Il primo caso che fece scalpore e suscitò diversi commenti e critiche fu la combine immobiliare fra Albertini (subentrato a Formentini) e Tronchetti Provera [i]: da cui la distruzione di una grande industria come la Pirelli e la realizzazione alla Bicocca di un’espansione urbana imprevedibile, indimostrabile. Valse soltanto l’incontro fra il potere forte dell’industriale, disceso dal piano del profitto capitalistico a quello della rendita fondiaria/finanziaria, e il potere debole, verso i forti, di un’amministrazione comunale priva di un alto sentimento del progetto pubblico. Un gran numero di altri episodi simili segnarono il corso degli anni in cui la Milano del nostro destino perdeva completamente il proprio connotato storico di città dotata di una miriade di settori produttivi, di una coerente economia di sostegno e di una eccezionale ricchezza sociale per diventare l’emblema nazionale del dominio affaristico di finanza, commercio, edilizia privata unite come sotto una sacra corona; e della conseguente asfissia di classe.
Oggi è il tempo degli Accordi di programma con le Ferrovie
dello stato (FS/Sistemi urbani)[ii]
per la “trasformazione dei sette scali ferroviari [iii]
[che costituiscono una grossa
fetta dei 21 ATU – Ambiti di trasformazione
urbana] in una visione di trasformazione
della città”: così l’assessore Pierfrancesco Maran, che aggiunge altro, più
come vaga speranza che come decisivo impegno (“mi piacerebbe molto che…”). È in ballo un affare gigantesco che
parrebbe spiegare l’unico interesse di FS. Quello di ottenere il massimo di
rendita fondiaria, ossia la massima volumetria complessiva, quindi il più alto
indice edificatorio. È attorno a
quest’ultimo che si gioca una delle partite. Mentre risuona nell’aria qualche
parolona circa i mirabolanti benefici che i milanesi riceverebbero da una
collana di grandi parchi, ritualistica è la diatriba sull’edificazione. FS se
ne frega della funzione sociale che dovrebbe essere intrinseca al nuovo
utilizzo delle sue proprietà. Si è visto quale livello di lucro speculativo comportante
distruzione di storici assetti funzionali ed estetici abbia toccato il famoso
programma Grandi stazioni. Basti l’esempio della stazione di Milano. Una
mascalzonata nel confronto dei viaggiatori per avergli sottratto le comodità e
le facilità d’uso, altresì vessandoli con incessante pubblicità visiva e
sonora; per di più un’inconcepibile
violenza verso l’architettura di Ulisse Stacchini sia riguardo alle funzioni
sia al decoro (esempio, le magnifiche sale d’aspetto demolite in toto per
aggiungere spazio al commercio).
Intanto Maran mette le mani avanti. Contano poco le
volumetrie, dice, cioè gli indici di edificazione, conta invece lo spazio che
resta libero: esempio i grattacieli di Garibaldi/Repubblica: si è operato bene
lì. Ma quali spazi liberi, osserviamo noi. Quel modello, insensata presenza di
figure urbane come in un qualsiasi emirato (Qatar proprietario al 100%) è parte
integrante di una speculazione fondiaria ed edilizia smaccata, guai se la si
applicasse allo scopo di un accordo che dovrebbe concludersi con la famosa “collana”.
Ma l’assessore si contraddice, altro che la nonchalance verso i parametri
edificatori. Risaliamo al documento di piano del Pgt in scadenza,
all’edificabilità delle ATU consistente in 0,70 mq/mq. Maran si inchioda a una
fede di 0,65 mq/mq (interamente assegnata alla proprietà fondiaria FS/Sistemi
urbani), che solo i tremori della minuscola sinistra milanese (un solo
rappresentante in Consiglio comunale, l’ex presidente dell’aula Basilio Rizzo),
evitano di discutere e di negare. A questo punto, ci valiamo delle analisi
seccamente veritiere, inattaccabili di Sergio Brenna, delle sue tabelle che
dimostrano le differenze di risultato, anche enormi, a seconda dell’intreccio
fra diverse scelte parametriche di partenza.
Mentre la diatriba intorno agli ex scali sembra nascondere
qualcosa della effettiva posizione di FS, come avvenne col progetto Grandi
stazioni quando la realtà violenta del fatto compiuto (ma chi doveva
controllare dal punto di vista degli interessi dei cittadini?) impedì di
“tornare indietro”, a Milano potrebbe diventare tempestoso l’orizzonte di tutti
gli spazi destinati a parco territoriale e a grandi servizi da Prg poi Pgt,
come ex Gasometri, Parco Sud, Parco Vittoria, Parco Naviglio Martesana e altri,
il cosiddetto Fiume Verde. Secondo Brenna l’indice di 30 mq/abitante di spazi
pubblici vuol dire lasciarlo all’edificazione privata. Pochi lo sanno o non lo
ricordano, ma in maniera simile la città ha perduto una riserva di bellissimo
verde sportivo col recinto del trotto a San Siro. Bastò una (con orribile
dizione!) “Determina dirigenziale”. Allora, altro che accordo su 0,65 mq/mq.
Calcoli precisi del nostro che mettono in chiaro diversi dati frazionari,
mostrano un loro legame stretto che può provocare effetti paradossali, ossia
disastrosi: gli spazi pubblici dovrebbero salire a 45 mq/ab e corrispondere a
un’edificabilità territoriale dei 0,45 mq/mq per evitare l’inverarsi di una
densità fondiaria che potrebbe raggiungere addirittura i 40 mc/mq.
Preferiamo esprimerla in metri cubi per ettaro, 400.000!! e
piangere sull’urbanistica tradizionale quando criticati colleghi, succubi
rigorosi dello zoning, “osavano” indicare per le zone dense, le più centrali o
più vicine al centro della città, 60.000 mc/ha (densità eccessiva ma una
pinzillacchera al confronto), poi cercavano di interpretarla attraverso i tipi
di edificio, i servizi, il verde e così via. Supponiamo ora di ottenere per gli
ex scali le migliori condizioni, secondo la nostra visione, nella dinamica
(quasi un gioco) degli indici fondiari ed edilizi. Ma non dovrebbero, sindaco e
giunta, finalmente proporre cosa
sarebbe utile, giusto realizzare concretamente lì? Occorrono nuovi alloggi,
nuove case residenziali? Per chi, per quale popolazione in una città che ha
vissuto (e vive) una lunga crisi demografica ripianata solo da un costante
afflusso di immigrati? Questi sono circa 260.000, il 19% dei residenti; dove e
come abitano? La statistica numerica ci spiega che sono distribuiti in tutti i
nove “municipi” del decentramento [iv],
non c’è un ghetto enorme in una presunta peggior periferia; ma non sappiamo
come abbiano potuto affrontare un mercato libero delle abitazioni se non, per
la maggior parte di loro, aumentando le coabitazioni. È di oggi la notizia che i nuovi arrivati, poche decine di
profughi, troveranno sistemazioni provvisorie apprestate dal Comune, come al
Palasharp.
Quanti sarebbero gli alloggi liberi a Milano? Non possiamo
saperlo da ricerche credibili del Comune. Possiamo affidarci a una stima
dell’anno 2014 di Scenari Immobiliari. Alloggi privati vuoti 60.000 di cui
40.000 sul mercato tra affitto e vendita e gli altri 20.000 sfitti. “Numeri che
stridono se messi a confronto con le 22.000 richieste di alloggi popolari e i
17.000 sfratti esecutivi registrati”. E quanti saranno gli alloggi vuoti nelle
“Nuove Milano” dei grattacieli qatariani e contorno? Secondo noi moltissimi. In
ogni modo per abitarvi bisogna essere straricchi. Fresche cronache cittadine notate
da Brenna segnalano che il noto (ai giovani) rapper Fedez (Federico Leonardo Lucia)
abita a City Life (ex Fiera) in un attico di 400 metri quadrati. Cosa si
intende offrire ai cittadini “comuni” in cerca di alloggio a prezzo coerente al
reddito nella parte residenziale degli scali convertiti, dicono, al bene
comune? L’assessore sembra propenso a superare la quota del 20% di edilizia
sociale ora abbozzata. Intanto, in piena contrapposizione con le intenzioni
parolaie dei benpensanti sociali, l’Aler, l’Azienda lombarda di edilizia
residenziale che ha cancellato, all’avvento dei governi regionali leghisti e
forzisti, il glorioso Iacpm (Istituto autonomo per le casa popolari milanesi),
ha già predisposto un piano di vendite straordinario
per la dismissione entro il 2019 di 10.000 appartamenti. Destinati a chi? Agli
attuali “utenti” (in affitto) se possiedono risparmio sufficiente, ma anche a
famiglie affittuarie di alloggi esistenti in condominio con proprietari
privati. Siamo all’ultimo atto del meccanismo messo in moto anni fa con la
crisi degli ideali socialisti per sancire il primato assoluto della casa in
proprietà. Quanto alle possibilità e
volontà dell’amministrazione comunale di fare la sua (piccola) parte in senso
comunitario, in questo momento è aperto il 19° bando “per l’aggiornamento della
graduatoria valevole per l’assegnazione di alloggi… sino al 7 ottobre 2016”. Al
contrario, non ci sono attualmente bandi per attribuire alloggi a canone
convenzionato in edifici di proprietà comunale. Nel complesso le iniziative per
dar casa alle famiglie impossibilitate ad accedere al mercato libero sono
sbagliate (Aler) o misere (Comune). Di qui l’obbligo che diventi effettivo
l’investimento nei terreni degli ex-scali secondo un programma di edilizia
sociale risolutivo di un fabbisogno sorto dopo la distruzione dell’Iacp e
aumentato progressivamente con la perdita di qualsiasi relazione sensata fra
prezzo della casa (proprietà o affitto) e valore del salario-stipendio [v].
E quanti e quali nuovi uffici occorrerebbero? Si conta su
nuove sedi di grandi aziende internazionali? Non conosciamo nessuna ipotesi in
questo senso. Quello che sappiamo è che nel cuore della città ci sono migliaia
uffici vuoti da molti anni. Conseguenza della consegna di Milano a un settore
terziario gonfiato come un pallone aerostatico . Un terziario avanzato, si
diceva; invece spesso nero, monetario, speculativo, incontrollato, aperto a
ogni genere di mafia. La procura milanese ha stimato nel 25% l’appropriazione
di commerci da parte della ‘ndrangheta specialmente attraverso l’acquisto di
negozi e pizzerie. Qualcuno ha gettato un mozzicone sul pallone che è sgonfiato
lasciando però aerate le pieghe più nascoste e asfissiando le altre. Così basta
guardarsi intorno e notare i lenzuoli o i pannelli di offerta in grandi e
talvolta famosi palazzi del centro, quelli una volta punto di riferimento di attività
legittime per capire che, aggiungendo l’invenduto o in attesa di locazione nei
nuovi grattacieli, non bisognerebbe costruire nemmeno un nuovo metro cubo di
uffici. E nell’hinterland? Grattacieli ne sorgono qua e là (per incamerare pura
rendita che si riproduce anche se rimanessero oggetti scenografici esteriori,
privi di allestimento interno). D’altra parte svettano ancora i complessi
multipli ligrestiani in una decina di luoghi, in gran parte vuoti o abbandonati.
Quale conclusione? Negli scali solo grandi parchi, nessuna
costruzione salvo le case di edilizia sociale, come detto sopra al sesto
capoverso. Parchi che non devono finire nella fossa delle false presunzioni
come quelle riguardanti il terreno dell’Expo. Vantarono un sicuro lascito di
metà superficie a verde, una misura irrisoria giacché un tal “verde”
interessato da una miriade di “sistemazioni” non approderà mai a un “grande
parco”, che in primo luogo dev’essere fortemente arborato, come una foresta.
Per realizzare la sognata catena di parchi che avvinghi Milano e
contemporaneamente apra il beneficio verso l’hinterland, bisogna che il
rapporto fra terreno destinato all’edilizia sociale e quello a verde
intensamente arborato e pochissimo intaccato da impianti per lo svago sia
almeno di uno a cinque. Così l’assessore Pierfrancesco Maran potrà calcolare se
le case, essendo talmente vasto lo spazio libero, potranno raggiungere l’amata
altezza di mille metri. Sarebbe sempre meno del grattacielo immaginario di
Frank Lloyd Wright (denominato The
Illinois) alto un miglio. Guarda caso, il maestro realizzò solo case basse,
connaturali alla terra.
[i] Cfr.
L. Meneghetti, La nuove Milano estranee.
L’architettura servile, in eddyburg 30 ottobre 2004; poi in Parole in rete. Interventi in eddyburg,
giornale e archivio di urbanistica politica e altre cose, Libreria Clup,
Milano 2005. Vedi anche, dello stesso autore, Falsificazione dell’architettura e privazione dell’urbanistica, in
eddyburg, 11 settembre 2006; poi in L’opinione
contraria. Articoli in eddyburg.it, giornale e archivio di urbanistica politica
e altre cose, Libreria Clup, Milano 2006.
[ii]
Vedi Scali
ferroviari a Milano - Storia, progetto, conflitto.
Scritto (anonimo) per Eddyburg, 10 febbraio 2016.
[iii] 1.
ATU Farini-Lugano, 2. ATU Greco Breda, 3. ATU Lambrate, 4. ATU Romana, 5. ATU
Rogoredo, 6: ATU Porta Genova, 7. ATU San Cristoforo. Promemoria: il sindaco
Albertini, appassionato sostenitore dell’intervento sull’area dell’ex-Fiera
campionaria incentrato sui tre grattacieli di Hadid-Lebeskind-Isozaki, parlò di
un “nostro” Centra Park nello spazio libero, mero spazio di risulta, sformato,
scarso e in parte solettone di garage sottostanti. Oggi è Pierfrancesco Maran
che “pensa” alla scalo Farini come Central Park.
Non ci libereremo mai a Milano dei governanti
provinciali e presuntuosi?
[iv] Al
31.12.2015: Zona 1, 11.900. Zona 2, 44.200. Zona 3, 20.400. Zona 4, 29.800.
Zona 5, 21.500. Zona 6, 23.400. Zona 7, 31.000, Zona 8, 33.400, Zona 9, 43.600.
[v] Oggi il
prezzo della casa (che è di per sé una rendita) appare logico solo se
commisurato a remunerazioni esse stesse come rendite (costruzioni, commercio,
finanza, turismo…).
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